I racconti di Nilo





Il fiore giallo
Capitolo 1°

E’ da qualche mese che finalmente mi riposo, sulle spalle della tanto attesa e sospirata pensione..
Ritagli di tempo libero ne ho ed allora quasi ogni giorno vado dalla mia “bella”, è così che il più delle volte, con quel vocabolo,  indico  mia  moglie, che riposa nella tomba di famiglia, per portarle il mio saluto e parlare in tutta tranquillità un attimo con lei.
Tante son le cose che ho da raccontarle, anche se ci siam visti solo il giorno prima…ma la sua mancanza presente è ..alta per me.
Di lei, che dire??? Lasciatemelo dire di tutto cuore..” E’ stata una persona speciale ”. In semplici parole “E’ stata tutta la mia vita”.

Abbiamo vissuto insieme per ventisei anni, cinque mesi e cinque giorni e l’ho accompagnata nella sua ultima dimora, baciando la sua bara prima che venisse tumulata e nella sua tomba ho voluto che venisse inserito un mio scritto che sol io e lei sappiamo il contenuto.
E questo è e sarà il nostro segreto per “SEMPRE” !!!
Poi, in seguito, per un purissimo caso, con raccolta di “Pensieri & Ricordi”  ho scritto alcune poesie in suo ricordo, a cui col tempo ne ho aggiunte altre, formando così una raccolta.
Ah.. dimenticavo !!! Lei amava tanto i fiori, specie quelli che “abbracciavano” il colore rosso ed allora in casa, quando c’era lei, molti eran i vasi di fiori sul balcone e sui davanzali maggiori del piano dove abitavamo ed anche nel centrotavola della sala.
Difficilmente mancava un bel mazzo colorato. Diceva sempre che i colori scaldavano, non solo l’ambiente, ma anche i cuori.
*  * *
Il tutto della storia, che cercherò nel mio limite di esordiente “scribacchino” di raccontare, scusandomi anticipatamente di eventuali errori grammaticali, in quanto non son mai stato forte nel corretto linguaggio, ebbe inizio il mese dopo la sua scomparsa, nel giorno esatto del suo ricordo.
Era il giorno 17. Era ottobre e sulla sua tomba per la prima volta comparve un fiore giallo reciso. Si, un fiore solo.
A quel tempo ancor andavo a lavorare e nella pausa pranzo, specie in quella determinata data, andavo a renderle omaggio, portandole un lume che poi accendevo ai suoi piedi.
Ricordo che quel giorno era molto umido ed ero vestito con la giacca a vento carta da zucchero. Il cielo era avvolto da nuvole di pioggia, ma non pioveva.
Entrai dal cancello secondario del camposanto e mi diressi, con un po’ di fretta, visto che dovevo andare a timbrare il cartellino alle 14, verso la sua tomba.
La salutai col mio solito “Ciao..come stai”?, accompagnato dal mio bacetto volante, che non le facevo mai mancare.
E fu quel giorno, che per la prima volta, in uno vaso di roselline rosse che stava sotto alla sua immagine, ho trovato infilzato un piccolo fiore dal colore giallo caldo, io i nomi dei fiori li conosco, come s’osa dire… se non a spanne.. Quello aveva tutto l’aspetto di una margherita, ma dai petali sottili e grandi e visto la mia ignoranza in materia di botanica, l’ho sempre chiamato margherita.
Al momento non gli diedi tanto peso, pensavo che fosse stato qualche conoscente che passando per di li, si era soffermato un attimo offrendole un fiore.. ma lo strano era perché un fiore infilato così, in modo semplicistico, nel vaso, un fiore reciso giallo.
Solitario com’era, decisi di lasciarlo li, poi, quando ormai fosse stato nel suo appassito, l’avrei buttato nel contenitore dei fiori scartati.
Quando lo toglievo, non compariva più, se non nel giorno del suo ricordo, a mese dopo e ciò, ad un dato momento, iniziò veramente ad incuriosirmi ed il perché solo in quella determinata circostanza?
Più di una volta mi son guardato in giro per vedere se mai qualcuno, nel vedermi li, mi si avvicinasse per eventualmente dirmi che era lui che l’omaggiare di quel fiore, ma mai nulla e così dopo aver fatto il giro dei miei cari, ritornavo ancor da lei, di nuovo la guardavo nel suo sorriso e con la promessa che ci saremmo rivisti fra qualche giorno, andavo indietreggiando fino all’uscita, che era li a poche decine di metri e inviandole un bacetto, mi accomiatavo dicendole sorridendo “Tu lo sai chi mai è quel tuo ammiratore, ma sei sempre ..muta.”
Era un sabato mattina di ricorrenza ed arrivando sul presto, volli fare un esperimento.
Entrai dal cancello de retro del camposanto e andai  subito da lei. Già prima di essere giunto ai piedi della lapide, avevo già intravisto che il fiore giallo era già la. Mi inchinai, lo guardai  ben bene, si vedeva che era fresco. Alzai lo sguardo verso lei e poi lo tolsi dal vaso e lo tenni in mano facendo il solito giro degli altri cari, per poi tornare a vedere se, nel frattempo, fosse stato rimpiazzato.
No, nulla.. niente. Quella volta le roselline rimasero orfane del fiore giallo ed allora decisi di rimetterlo al suo posto e poi uscii.
Mai son stato capace di sapere chi fosse quella mano che in quell’evento veniva a depositare quel giallo fiore, finché arrivò il giorno che ricordava il suo terzo anniversario.
Era settembre, il suo terzo anniversario. Alzatomi di buon mattino decisi di andare alla messa delle nove, nel vicino santuario.
In chiesa la gente era poca, la maggior parte erano anziani. Entrando, presi posto sulle sedie verso la fine della chiesa. Il sedermi sulla panca non  mi era mai piaciuto. Poco prima che iniziasse la messa, sulla mia stessa fila, a destra, a due sedie da me, una persona con abito chiaro e velo in testa, dai lunghi capelli castani che le cadevano sciolti sulle spalle, si sedette prendendo a sfogliare il libro dei canti che stava sulla sedia davanti a lei.  Per un attimo, vidi con la coda dell’occhio la sua ombra, ma non feci cenno di movimento, poi, pian piano, senza cercar di dar nell’occhio, girai leggermente il capo e mi soffermai per un attimo a guardarla, in quanto cosa rara ormai, portava in testa un velo, per poi compostamente, in silenzio, ripresi a seguire la funzione. Dietro noi, non c’era nessuno.
Alle intonazioni delle lodi da parte del cantore, la sua voce, intonatissima, era pura, una voce di una purezza celestiale, diciamo, una voce angelica che si elevava sopra le altre in modo veramente sublime, ma non vidi nessuno, che magari sentendo cantare così maestosamente, si girasse incuriosito, come spesso capita quando si sentono voci che fuori dal comune, spopolano... mentre io seguivo quella voce  che sapeva penetrarmi nel cuore per la purezza che sapeva emanare , cantavo anch’io, però nel mio io, in quanto so che son ben stonato ed è meglio che non mi azzardi mai ad alzare il tono.
Al momento dello scambio del rituale segno di pace, come usanza si porge la mano almeno al vicino. Io lo feci allungandole la mia. Lei con sorriso mi guardò, ma non accennò minimamente a pormi la sua. Rimasi sconcertato, ma contraccambiai forzatamente il sorriso, sperando di non averlo dato troppo da vedere. Per quello che potei constatare in quel momento, per me era una signora tra i venticinque e trent’anni, ma non so perché effettivamente la caricai di quell’età, fu una cosa istintiva. La fissai un attimo in volto e notai che non portava occhiali, neppur appesi ad una eventuale cordicella pendente.
Finita la funzione, lei uscì prima di me e sparì. Indugiai un attimo a guardare tra la poca folla del piazzale, se mai riuscivo a vederla, ma non ebbi fortuna. Allor mi avviai verso la macchina parcheggiata, salito, messo in moto,  pian piano dopo un attimo di coda sul piazzale in cui tutti manovrano pur di uscire prima di chiunque altro, formando alla fine solo ingorghi e perdite di tempo, mi incolonnai nel traffico stradale avviandomi in direzione del camposanto.
Tanto per essere nella norma faticai a trovare parcheggio, ma alla fine, finalmente, trovai un buco e tirai un sospirone.
Entrando questa volta dal cancello principale, iniziai a far il giro dal mio caro più vicino , per poi, alla fine, andare a trovare la mia “bella”.
Mancava poco ad arrivare alla tomba e rimasi sbalordito ed immobile nel vedere quella donna che mi era accanto in chiesa, li,chinata sul vaso di quel verde pinetto che misi li il giorno precedente, sotto alla sua immagine , nell’atto di inserire un fiore giallo.
Fattomi coraggio,  m’incamminai verso lei. Nel frattempo, senza guardare verso me, si alzo dal vaso ed andò ad accarezzare la foto di  mia moglie e così rimasi ancor più che mai stupito da quel gesto. Io non conoscevo lei, ma lei a quanto pare, conosceva mia moglie.
Arrivato al suo fianco, cercai di proferir parola,  ma non riuscivo a dire nulla. Mi sforzai ancora, ma dalla mia bocca nessuna parola.
Cercavo di tossire, ma neppur il suono della tosse riuscivo a far uscire dalla bocca.  
Volevo chiedere, volevo sapere, insomma..volevo..volevo.. Il cuore mi batteva forte, ma ero come se d’improvviso fossi diventato muto. Finalmente si voltò verso me per scendere il gradino della lapide e di nuovo mi sorrise.
Non capivo.. e vedendomi più che mai sorpreso, lei si presentò e fu veramente un..colpo. di quelli che lasciano il segno.
Feci un cenno di stizza, ritentando nuovamente di proferir parola, ma nulla successe. Avevo perso l’uso della voce e la paura mi faceva sudare D’istino portai la mano alla fronte ed appurai che stavo veramente sudando.
Ora la vedevo meglio. Il suo viso era sereno, nei suoi lineamenti notai qualcosa che guardando per un attimo la foto di mia moglie, riconduceva a delle somiglianze, anche se lievi.
Gli occhi eran grigi, il volto aveva,  anche se vagamente, quel suo infossamento all’altezza delle guance e sul lato desto, un neo piccolo..ma ben visibile.
Mentre, così meravigliato, spostavo il mio sguardo tra la foto e lei, con voce gentile, lei iniziò a parlare dandomi subito del “Tu”.
Si accorse subito della mia agitazione  ed allor mi disse con tono rassicurante “Non aver paura, si è vero, sei muto, ma sarai muto solo per il tempo necessario e stabilito, non un attimo di più..Abbi fede”.
Poi , sorridendomi. “Tu, mio caro, non mi conosci, ma io so chi sei e quanto ami ancor lei” ed indicò la foto di mia moglie con uno movimento del capo seguito da uno sguardo rivolto a lei.
“Io son stata al tuo fianco in chiesa,  mi hai sentito cantare le lodi,  ma sol tu mi ha sentito, perché per gli altri io non c’ero“.
Ciò mi meravigliò molto. Io non la conoscevo e lei subito mi dava del tu su due piedi, addirittura senza presentarsi ed io non riuscivo a parlare. Ma che mai era successo da quando lo vista? Che strani poteri mai aveva su di me quella donna?
Dopo una pausa prolungata, mi guardò in faccia e proseguì. “Mi scuso. Non ti ho dato la mano nel momento dello scambio della pace, ma ti ho rivolto sol un sorriso, in quanto anche se tu vedi le mie mani, non ho mani da dar a toccare”.
Già ero confuso, ora sinceramente iniziavo a non capire più nulla di tutta quella storia inverosimile appena iniziata. Ma chi era mai lei?? Come faceva a conoscermi? Come sapeva di me e di  mia moglie e come mai aveva messo quel fiore giallo? Domande che nel mio io s’alzavano per venirne a capo , ma con muta risposta e ciò mi alzava pure la pressione.
“L’abito bianco che indosso è stato confezionato da una sartoria speciale, anzi, diciamo …celestiale, e per questo avvenimento.”
Si prese un attimo di pausa, riguardò la foto di mia moglie e poi  per un attimo si soffermo a fissarmi  gli occhi, prima di proseguire.
“Ti prego, ora gradirei che tu mi seguissi. Usciamo da questo santo luogo, andiamo a prenderci una pausa, a sederci da qualche parte , in disparte da tutti, l’un accanto all’altro perché vorrei parlarti in tutta tranquillità.
Ti ricordo ancora che io son qui, ma sol per te . Nulla mi rende visibile agli altri e di me non devi assolutamente temere nulla, ho sol bisogno che tu riponga fiducia incondizionata in me.”
Ero più che mai in totale confusione. Non capivo dove volesse arrivare con quel dire.
Per un attimo ero stato sul punto di mandarla a quel paese, di dirle che di lei e del suo fiore, non mi interessava nulla. Per me era semplicemente un’estranea che voleva attaccar discorso ed io non avevo tempo per darle corda.
Insomma, in parole povere, la ritenevo una persona un po’ fuori da certi parametri.. per me era in alti sintomi di pazzia.
Ma mi resi ancor conto che non avevo voce per controbattere e sbattendo le palpebre, mi assalì un certo nervosismo.
Mi sembrava di essere prigioniero di una irrealtà che mi stava avvolgendo nel suo manto e non riuscendo a venirne a capo iniziavo pure ad aver un po’ di paura ed il mio fiato iniziava a farsi più pesante.
Scossi la testa, cercando di divincolarmi in qualche modo da quelle idee che mi assalivano, poi alzando lo sguardo verso la fotografia di mia moglie la fissai immobile per un lungo attimo, quasi a chiedere aiuto a lei.. Lei era sempre la, più che mai avvolta nel suo dolce sorriso, immobile, pietrificata,  e ciò mi portò a scuoter il capo, facendomi dire internamente “ Ma cosa pensi che possa mai dire una fotografia”??  In quell’istante qualcosa in me salì a spingermi per seguire quella donna, per provare a sentire cosa mai avesse da dirmi. Casomai dopo avrei valutato se era il caso di continuare a sentirla ancora o di cercare eventualmente in qualche modo una via d’uscita da tutta quell’irrealtà, anche a costo di sembrare scortese. E così, alla fine, con l’ansia che stava pian piano scemando, presi la decisione di seguirla.
Allora lasciai che voltandomi le spalle facesse qualche passo verso il cancello del retro e mandando uno profondo sbuffo, mi feci coraggio e m’incamminai dietro a lei e nella sua andatura, notai la somiglianza del cammino di mia moglie, ma volli far svanire subito dalla mia mente ogni somiglianza, dicendomi che era pazzesco il sol pensarlo. Lei era di molto più giovane e più snella e forse anche più bassa e poi non sembrava portasse il 41 di scarpe.
Usciti dal cancello, senza voltarsi indietro, come se conoscesse alla perfezione la zona, la vidi proseguire verso il parco adiacente. Camminando nell’erba da poco rasa, si diresse verso una panchina che era seminascosta da un grosso albero le cui fronde scendevano a cascata, ricoprendola in gran parte da occhi indiscreti  e fu allora che si voltò a guardare se la seguivo.
Mi avvicinai alla panchina e lei mi invitò col cenno del capo a sedermi al suo fianco, dicendomi ancora “Non aver paura, abbi fiducia in me, nessuno potrà vedermi, io non esisto su questa panchina, chiunque passi e guardi verso te, risulterai solo tu e per non dar tanto nell’occhio l’eventuale tuo comportamento nel risultare al fianco di una persona che nessun può vedere, prendi questo tascabile e fingi di sfogliarlo, insomma cerca di prendere un po’ di comportamento più che naturale, mentre io ti parlo e tu mi sentirai solamente.”.
Detto fatto, non so da dove uscì, in quanto non portava nessuna borsa con se, mi porse un tascabile con copertina di un giallo vivace, come il colore di quel fiore che aveva depositato la,  ma senza nessuna intestazione.
Apertolo, portava in testata della prima pagina solo una data scritta a piccoli caratteri che faticai non poco a metter a fuoco e tutti gli altri fogli eran solo bianchi.
La data impressa era…29 Novembre 1982. LUNEDI’!!!


Capitolo 2°

Una leggera brezza s’era da poco alzata facendo muovere le foglie degli alberi attorno. Noi eravam tranquillamente seduti, ma nell’avvenire ciò, dovetti spostarmi di più verso lei , in quanto una fronda in cascata, andava quasi a solleticarmi il viso. Lei non si scompose minimamente a quel mio avvicinamento.
Nel parco non c’era anima viva. Si udiva solo di tanto in tanto qualche rombo di motore provenire dal fondo strada, ma per il resto era tutto in silenziosa quiete. Sembrava essere alle soglie del verde paradiso.
Fissai per un po’ quella data sul libro. Che mai voleva significare? Poi, mai mi era capitato di vedere un tascabile con pagine bianche, se non un notes, ma quello, a ben vedere,  non rientrava nella serie dei  notes in quanto era anche finemente rilegato e perché poi mi era stato dato con scritto quella data? A quella data, a me non risultava nessun riferimento. Capivo meno che prima. Tutto mi era più che mai oscuro.
Nella  mia mente saliva  sempre più la convinzione di essere a contatto con una pazza e di iniziare a trovare, a breve tempo, una via d’uscita a questo stranissimo momento. Feci movimento per alzarmi, ma lei mi guardò e subito mi disse con sottovoce gentile “ No, ti prego, non lo fare.. Lo so cosa stai pensando. Stai pensando che sono pazza, vero??.. Io ti leggo nel pensiero. No.. no.. non è così. Ti chiedo sol di avere fiducia in me. Lo so che tutto ti sembra strano, ma vedrai che poi arriverai a comprendere questo tutto.!
La vidi alzare gli occhi al cielo, come se stesse cercando ispirazione , per poi con far tranquillo, di quella tranquillità che cerca in modo semplice  e rassicurante di allontanar dal tuo animo la paura, nel momento in cui ha notato che  la mia tensione si stava alzando cercando di  donarmi una nuova carica di serenità, riprese con voce di gentilezza nuova “ Scusami…, ma sbadatamente non mi son ancora presentata. Il mio nome forse ti dirà qualcosa, come magari, visto il tempo che è passato, non ti dirà nulla in quanto non ti ricorderai. Mi chiamo” e qui ci fu una pausa di silenzio che nel suo trascorrere risultò almeno a me più che eterna .
Poi passato l’istante, riprese a dirmi  “ Anzi, forse è meglio che sia sincera e vada a sottolineare nel dire, che avrei dovuto chiamarmi Sara”. E li la vidi fissarmi negli occhi. Forse che dopo aver detto quel nome , andava in me a cercar un risultato di meraviglia? No, il silenzio si prolungò, ma non mi resi disponibile per darle addito alla meraviglia.. Non dissi nulla.. anche perché non potevo parlare e poi su quel nome, sinceramente, non avevo nulla  da ricordare , nella mia mente, all’averlo sentito pronunciare, anche se l’aveva scandito apertamente e piano, risultava un nome come migliaia di altri, un nome di una santa, se vogliano proprio sfogliarlo tra quelli che adornan l’annuale calendario e basta. Insomma era un nome che alla realtà mia era oscuro.. se alla fine volevamo finirla li.. Poi cosa voleva mai dire con quel ”Avrei dovuto”??? Sinceramente in me risposi con un bel silenzioso “Boh”!
Fu allora che dopo un prolungato silenzio in cui il suo volto si era più volte alzato verso il cielo, riprese a dirmi  “ Tu non hai figli, vero.? Ovvero, tua moglie, ci fu un tempo che era in attesa, vero.?? Poi il tutto non ci fu e per voi ci fu altro tracciato.”
Subito un brivido mi percorse da cima a piedi e mi chiesi come mai fosse al corrente di questa circostanza. Tentai per l’ennesima volta di proferir parola, ma mi accorsi con un po’ di stizza, che non era possibile ed allor cercai in mimica di farle capire come mai sapeva di ciò. Con un sorriso mi venne ancora a dire “Io, anche se ti parrà stano.. se non stranissimo, di voi due, so tutto” e fu che allora, preso forza internamente, la sfidai e la guardai fisso nei suoi occhi, che mi risultarono più che mai splendidi. Non so, ma or più che mai qualcosa in me diceva che stava tirando ad indovinare, ma stava di fatto azzeccando sempre e non sapevo il perché ed allora nel mio sconfitto sbuffai e feci per andarmene, voltandole le spalle. Ero stufo.. ero stanco di tutto e dopo aver fatto alcuni passi mi fermai e guardai il cielo con occhi di chi ha paura , ma nonostante ciò, qualcosa  più forte di me, mi disse di girarmi verso di lei  e lo feci pian piano, come se fossi un robot.
Ero girato e la guardavo con occhi di chi non sa che fare e lei pure mi fissava, ma con un sorriso. Una lunga pausa intercorse prima che di nuovo riprese a parlare. “ Si , lo so, stai cercando di resuscitare qualcosa dentro te, di capire tanti perché, di capire anche il perché della data sul quel tascabile, tutto su pagine bianche. Pian piano ti farò venire a capo di tutto, te lo prometto, scordatelo che sono pazza e nell’eventualità che vorresti tirar attenzione su questo luogo, alla fine la figura del pazzo sarebbe la tua, ma so che non lo farai, perché dopo sarebbero molti anche i giornali locali, visto che hai anche un nome conosciuto, che vanno a nozze con i pettegolezzi, con conseguenze sulla tua reputazione.. credimi, per il tuo bene, ti chiedo tranquillità ed ascolto”.
Nel cielo, era comparsa una nuvoletta color bambagia che pian piano si spostava verso il sole, ma nella sua orbita lo sfiorò leggermente, offuscandolo solo per un istante e poi tutto tornò nel suo sereno. Io guardai quell’ultimo istante, ma poi lei mi distolse, riprendendo a dire “Ecco” iniziò, dopo che il sole riprese a splendere “ Iniziamo dalla data, almeno ti puoi mettere il cuore in santa pace.”
Io aprii il tascabile e rilessi quella microscopica data mentre lei mi diceva. “ Quella sarebbe stata la mia la data della mia  nascita, se il buon Dio, avesse deciso di farmi nascere, ma per me decise che forse era meglio che non nascessi, che non conoscessi mai i miei genitori dal vero. Ma alla fine, come è verità, i figli conoscono i lor genitori fin dal primo istante ed io per circa quattro mesi son stata sempre abbracciata a mia mamma, poi mia madre a causa di una malattia salita a riconoscimento molto tempo dopo, mi perse e così per me non ci fu più vita e per lei non ci fu più occasione di averne altri, ma so che se tutto fosse andato per il verso giusto, loro sarebbero stati all’altezza di donarmi tutto l’amore di cui ogni figlio avrebbe bisogno. In parole povere, sarebbero stati eccezionali, ma come si dice, i disegni del cielo, non si discutono, bisogna aver il coraggio di saperli accogliere anche se son dolorosi e a volte non è facile entrare nell’ottica del saper accogliere qual è il disegno superiore e va anche a finire che molte volte si creano fratture  tra la terra ed il cielo, perché è sempre più facile vedere quel lato che a ognuno fa comodo”.
Nella mia mente, una piccola luce si accese. Era vero. Anche a noi era successo di perdere un figlio  che avrebbe avuto all’incirca quattro mesi e per qualche settimana mi sentii deluso da tutto e da tutti. Ma che mai era?? Ancor pura coincidenza.? E’ vero che a quel tempo avevo davanti ancora tempo per eventualmente pianificare  una nuova vita, come molti mi dicevano, ma non fu così. Il Signore del cielo per noi aveva in serbo un nuovo disegno e se non immediatamente, pochi anni dopo ne fummo messi al corrente da eventi che iniziavano a comparire e non senza un po’ di paura. Posso dire con tutta sincerità, che da li, iniziai forse ancor di più a capire cosa mai fosse vivere  ed amare nella gioia e nel dolore. La gioia apre orizzonti in cui tutto sembra essere miele, il dolore chiude porte che prima eran aperte, ma devi essere tu, con la tua forza, con il coraggio  e la grande voglia di sperare.. sperare sempre a saperle riaprire per vivere.. Devi aver il coraggio di scardinare la porta chiusa e di non farti fare prigioniero. Si, se vuoi rivivere la vita!!!
La stavo a sentire e qualcosa , anche se offuscato, tornò alla mia mente e lei quasi leggendomi nel pensiero, subito disse.” Si, stai pensando a quella notte del carnevale dell’82. Vero”?
 A quella domanda, rimasi di stucco. Il mio cuore riprese a battere forsennatamente, sentivo che stava per esplodere ed iniziai pure a sudare, slacciandomi ancor un bottone della camicia che indossavo.
Si. Era vero. Stavo pensando al carnevale di quell’anno, a quella notte di carnevale , quando nel più profondo silenzio della notte, ancor svegli, ci abbracciammo e salimmo alle soglie del..paradiso.. Poi, il tutto riportato li, mesi dopo lei risultò incinta. A conti fatti, quel figlio sarebbe dovuto nascere a fine novembre all’incirca , quel mese scritto sul libro, cioè nove mesi dopo. Qualcosa in me saliva a mente però ancor dicevo che potevan essere semplici belle buone coincidenze. Poi io di figli non ne ho avuti alla fine. Ero più che mai confuso da tutto ciò che diceva e perlopiù ero nelle condizioni di non poter controbattere e mi stavo realmente stancando di sentirla.
Mi sentii invadere il volto di un’aria fresca. Era lei che mi soffiava addosso per rinfrescarmi.
Nel frattempo sopra noi passò uno folto storno di uccelli in cinguetti di festa, che dopo aver fatto due o tre giri attorno al nostro albero si sciolsero volando a piccoli gruppi, separandosi nell’infinito del cielo.
Riprese poi a dirmi “ Il nome. Si, dai che ti sale a mente”. Poi dopo una breve pausa . “Ti ricordi?? Tu avresti voluto darle il nome di Sara, era un nome che ti era sempre piaciuto e tu volevi che tua figlia fosse una bellissima “principessa” da coccolare.”!
La fissai un attimo e dai miei occhi scesero alcune lacrime che cercai di non darle a vedere, cercando di sfregarmeli leggermente, ma come sempre, lei comprese e di uovo mi disse.  “Si, eri stato tu a dire a mamma“ Al sentir la parola mamma, mi sentii percorrere un brivido ghiacciato su tutto il corpo  e feci un piccolo movimento di distacco da lei, ma mi ricordai che lei anche se era li, era come se non ci fosse. Io la vedevo, ma era veramente poi come un fantasma? Mai però ho osato allungare una mano per toccarla .
Poi riprese a dire “Le pagine bianche?? Si, vedi, quel libro riporta solo la data della mia nascita mai avvenuta. Le sue pagine sono bianche perché sarebbe stato come l’album della mia vita, dove tu e mamma avreste poi, anno dopo anno, incollato le foto migliori della vostra vita con la vostra amata Sara, per poi col tempo andare a rispolverarle ricordando alla grande, e certamente con nostalgia  che in vecchiaia tutti assale, quei bei vecchi tempi di vita d’amore giovanile”.
Mi alzai un attimo dalla panchina, lasciando il libro sulla panchina. Feci due passi  girando attorno all’albero per sgranchirmi un po’ le gambe. Mi fermai dietro l’albero a guardare l’alto cielo, poi in lontananza gli altri alberi che ornavano il verde parco di erba rasata.
Nel lontano mi sembrò di udire  voci di bimbi, , fissai in quel lontano, ma non individuai nulla, forse era solo un..sogno e ritornai davanti a lei e squadrandola ancor più profondamente con occhio critico, decisi di sedermi ancora al suo fianco.
Di li a poco, quando ebbe constatato che mi ero tranquillizzato ed avevo in me una buona dose di calma, proseguì.
Io nel mio muto non potevo far altro che ascoltarla, anche se in me a volte emergevano dei dubbi , ma decisi che ormai volevo andare fino in fondo, intanto a quanto pare, tutto quello che aveva fin’ora detto, corrispondeva a verità ed allor decisi di voler capire qual mai fosse stato effettivamente il finale di tutta questa strana storia, dalle apparenze assurde, anche se avvolta da verità.
“Vedi, papa” e qui fui colto ancor di sorpresa nel momento che lei, rivolta me proferì  la parola papà, ma decisi di soprassedere e continuai a seguirla nel suo discorso. “Quando la mamma , tu non eri ancor arrivato al suo capezzale, perché eri in macchina , nell’ultimo suo respiro pronunciò  due nomi che però nessun sentì in quanto era intubata, io le ero a fianco, a dir la verità non l’ho mai lasciata sola, perché son stata al suo fianco, fin dal primo istante in cui iniziai ad essere parte di lei.
Ebbene, ebbene si. Quei nomi, uno era il tuo ed uno era quello che tu a suo tempo avevi scelto per tua figlia. Era il mio, Sara.”
Mi ricordo ancora oggi. Certe cose non si scordano per tutta la vita. E’ vero, una telefonata di allarme, subito di volata in macchina verso l’ospedale. Ero ancora sul tragitto quando la triste notizia arrivò per cellulare ed arrivai purtroppo quando tutto ormai era finito.
Il tutto era in mattina di domenica di settembre. Lei era la sul letto, avvolta nel suo camice verde, con le mani incrociate al petto, raggiante nel suo sorriso di sempre, forse ancor più bello. Mi ricordo che al vederla, anche se avevo occhi lucidi, non avevo la forza per piangere.
“Ti poso dire anche un'altra cosa. Tu eri la al suo fianco e non avevi lacrime. Poi ad un tratto ti sentisti toccare la spalla e senza proferir parola ti sedesti sulla poltroncina nera fuori dalla camera. Ebbene, ero io che ti toccai la spalla, mi ero momentaneamente distaccata da lei per accompagnarti a sedere, in quanto è stata lei a dirmi di accompagnarti fuori camera e così feci, per poi tornare, vistoti più tranquillo, al suo fianco subito dopo e stare li a vegliarla in incognito.”
La guardai in faccia, mi sentivo tutto sudato, mi passai la mano sulla fronte, mi allargai ancor con due mani il collo della camicia e non seppi trattenere le lacrime.
Un nuovo fresco soffio mi avvolse e sentii un dolce sollievo avvolgermi il volto.



 Capitolo 3°


Passammo un bel po’ di tempo in silenzio.
Io ero sull’agitato e lei più che mai tranquilla.
Io fissavo il suo volto e lei aveva gli occhi sul mio, come se stessimo aspettando chi prima prendesse la parola. Ma pur sapendo che io non avrei mai potuto controbattere  ogni suo pensiero, forse faceva così per stemperare quell’accumulo di tensione che avevo addosso.
A dir il vero, in tutta questa storia, or posso ben dire che lei è stata un anima di una tranquillità senza fine.
Ha dato prova di essere paziente veramente come un angelo e di riuscire a trovare sempre quei “medicamenti” nei momenti in cui mi trovavo in perplessità sulle sue “panoramiche” di saper tutto di tutto..
Ma in me sentivo che qualcosa stava cambiando. Sentivo un istinto nuovo, qualcosa mi voleva portare a stringerla, a baciarla, a metter il mio capo sulla sua spalla, a chiamarla per nome, si, col suo vero nome, con quel Sara, che mai ho avuto modo di pronunciare.
Or più che mai ero cosciente che lei sapeva perfettamente quel che diceva, che diceva solo la verità.
Or più che mai  la vedevo con gli occhi di padre, di un padre che aveva ritrovato una figlia, quella sua Sara che sempre aveva sognato di stringere affettuosamente e di giocare con lei, ma, per alte ragioni, mai gli è stato concesso.
Stavo pensando nel mio io a come sarebbe stata diversa oggi la vita e mentre in mente mia andavo fantasticando su queste cose, lei mi sorrise chiamandomi “Papà” e poi con serenità angelica  mi chiese “Ti posso dire ancora due, tre cose?  Se però non desideri ascoltarmi oltre, sii leale, dimmelo con chiarezza e ti lascerò in pace, me ne ritornerò  in silenzio da dove son venuta, intanto non ho più nulla da perdere”. Dopo un attimo di silenzio, la guardai ancora in faccia facendo cenno col capo di proseguire, che sarei stato ad ascoltarla. Si, ora più che mai l’avrei ascoltata fino alla fine. “Ebbene, ti io voglio ringraziare di cuore per la poesia che hai voluto dedicarmi , mi hai veramente commossa con quel tuo scritto” e mi sembrò vedere scendere dal suo viso una lacrima, che però, non la vidi fare cenno di asciugarla.
“Sai?? La so a memoria. Il suo titolo è “ Mio caro angelo.”e mi sorrise ancora, mentre io mi sentivo il cuore allargare .
 “E nel contempo la mamma , quando da lassù in prima visione ha visto il video di “IO di TE” che le hai dedicato, si è commossa fino al pianto, stringendomi forte a se. E ricordo anche che mi disse tra le lacrime che tu saresti stato un padre come pochi e che lei era stata orgogliosa di averti avuto al suo fianco per la vita”.
Mi sentivo diventare piccolo.  Avevo le lacrime che stentavo a trattenere. Anche in questo frangente, per un attimo, mi sembrò vederla piangere, in quanto la vidi voltare il viso dall’altra parte, abbassandolo leggermente verso il suolo.
Avrei voluto stringerla a me come non mai , raccontagli di me e di mamma, di come era nato il nostro amore e come l’avevamo vissuto. Ormai sentivo che in me i dubbi erano fugati, lei era Sara, era quella mia figlia mai avuta, ne ero certissimo e per questo che sapeva tutto di tutto. Quel che aveva voluto raccontarmi era, non una storia qualsiasi d’amore, ma la mia.. no, anzi, la nostra vera storia.
Si voltò verso me, e notai che aveva il viso umido. Mi guadò e poi mi disse “ Sai, papà, è vero, il tuo pianto ha contagiato anche me. Penso veramente che saresti stato speciale, ma so che con coraggio, anche se non ti è stato facile, hai saputo accettare tutte le realtà dei vari momenti che la vita ha voluto darti”.
Un attimo di silenzio, in cui ci guardammo ancora negli occhi ancor lucidi “ Vedi, ti voglio dire una cosa, l’ultima. Ho insistito tanto, spronata anche da mamma,  con chi di dovere per far in modo che un di ti potessi veramente incontrare. Alla fine mi è concesso il pass ed allor mi son presentata a te sedendomi al tuo fianco in chiesa , anche se tu in quel momento non sapevi ancor nulla di tutto ciò che or sai e mi dispiace tanto non aver potuto stringere la tua mano nell’occasione spirituale del segno della pace. Poi, alla fine si è stabilito che mi sarei svelata oggi, nel giorno del suo quarto ricordo, vicino alla tomba di mamma, nel farmi vedere da te a depositare quel fiore giallo, non più nelle roselline rosse, ma nel vaso di quel pinetto che hai preso perché ti piaceva tanto e che avevi messo la il giorno prima.. ti confido di cuore, che lassù, nell’immenso paese della gioia, esiste solo la serenità della pace. Ognuno ha la possibilità di fare molte cose in armonia con gli altri. Non te le sto ad elencare, in quanto non ci sarebbe tempo, ma tutto è fatto con amore. A me è sempre piaciuto il colore giallo ed allor, nell’orto celeste io coltivo fiori di color giallo, mentre mamma coltiva quelli rossi, Ti ricordi che le piacevan le rose rosse?? Ebbene ad ogni ricorrenza raccoglievo un fiore giallo ed un angelo faceva il postino di notte, potandolo sulla sua tomba depositandolo nel vaso delle rose.. Ora che ti ho finalmente conosciuto, me ne ritornerò in mia sacra patria. Son scesa per dirti che sarò sempre al tuo fianco, tutti i giorni, tutte le notti, sia quando dormirai che quando sarai insonne, sia quando la vita ti sorriderà che quando per una cosa o l’latra ti parrà triste.  Potrai chiamarmi a qualunque ora ed anche se non mi vedrai, stanne sicuro che io sarò al tuo fianco e magari potrai tornare col pensiero ai tempi belli e cantarmi la ninna nanna  come la cantavi quella sera in cui, raggiante di felicità, hai saputo che la mamma aspettava un figlio, tuo figlio, ovvero, vostra figlia, si, io, la vostra Sara”.
Stavo piangendo  col capo chino tra le mani.  Le lacrime scendevano copiose bagnando anche la camicia,. Piangevo ma ero felice nel contempo. Una felicità, paragonabile solo al giorno in cui portai mia moglie all’altare e le promisi amore e fedeltà per tutta la vita.
Quando alzai il capo, al mio fianco lei non era più seduta. Non l’avevo sentita allontanarsi. Mi alzai guardandomi intorno e vidi in lontananza una sagoma in abito bianco che stava salendo le scale del cielo e pian piano sparire tra le nuvole. Stentando un attimo a capire il tutto, dopo un paio di colpi di tosse mi accorsi di aver ritrovato la voce ed allor con nodo alla gola cercai di chiamarla per nome.
Ma riuscii a sciogliere il suo nome sole in sottovoce.
Non saprò mai se mi abbia o meno sentito, perché non la vidi voltarsi.
Spinsi il mio sguardo più in profondità cercando un’immaginazione, ma non vidi più nulla, solo nuvole bianche che viaggiavano nell’alto.
Il sole era alto nel cielo e faceva caldo, ma non mi sentivo sudato, anzi mi sentivo rivivere. Non molto lontano da me, dei bimbi si divertivano a tirar calci ad un pallone giallo e nero ed altri correvano dietro ad un cagnolino che scorazzava come un fulmine tra il verde in un abbair gioioso.
Ancor incredulo di quello che mi era capitato, iniziai  ad incamminarmi nell’erba rasata per riprendere il sentiero che portava sulla strada per poi arrivare al parcheggio dove avevo lasciato tempo prima la macchina.
Avevo fatto poche decine di metri che sentii una voce femminile chiamare “Signore, ehi…signore”?
D’istinto mi fermai e voltandomi vidi una bimba dai capelli ricci dall’apparente età di quattro, cinque anni, correre verso me con in mano qualcosa. L’aspettai ed avvicinandosi, mi porse quel tascabile di Sara che avevo dimenticato sulla panchina, quando mi ero alzato per riprender strada di casa e mi disse con un po’ di fiatone, ma contenta di avermi raggiunto. “ Scusi, signore, ha dimenticato questo su quella panchina.” e mi indicò con la sua piccola manina libera la panchina in fondo sotto l’albero delle fronde.
Mi inchinai alla sua altezza, lei mi porse il libro e ringraziandola con un sorriso le chiesi  il suo nome. La risposta fu inaspettatamente sorprendente. Per un attimo quasi mi sentii mancare e mi ritrovai seduto sull’erba del prato. Lei, vedendomi scivolato si  mise a ridere come fanno i bambini divertiti e con un sorriso fanciullesco mi rispose “ Mi chiamo Sara.”  Poi mi omaggiò con un sorridente “Ciao” e la vidi tornare trotterellando verso la panchina, dove ora c’eran sedute altre due persone con un passeggino.
Mi alzai dall’erba, mi diedi una pulita con la mano al fondo dei calzoni e prendendo il libro, d’istinto lo aprii. Con meraviglia vidi che la data sulla prima pagina or era anche ornata con un fiore giallo. Incredulo, passai al secondo foglio e con mia sorpresa , stilizzato c’era  il disegno di  mia moglie con al fianco una culla sul cui frontale c’era un nome scritto in corsivo. Quel nome era “SARA”. Ai piedi della culla, un mazzo di rose rosse ed un disegno di un biglietto con scritta di dedica.
“ A mio papà, tua figlia SARA. Il tuo ricordo rimarrà in me per sempre.”
E letto ciò non riuscii a trattenere nuovamente le lacrime e guardando con occhi offuscati di pianto il cielo, sottovoce scandii lettera per lettera quel suo nome seguito da quello di mia moglie.
Non lo so perché, non so ancor ora , a distanza di tempo, qual segno si possa celare dietro a questo strano evento, ma in quel giorno, il buon Dio mi ha fatto proprio una grande sorpresa. Una sorpresa divina che mai mi sarei aspettato. GRAZIE!!!

© Nilodan Gi.Pi.







1 commento:

Sari ha detto...

E' molto commovente e tu abile nel descrivere l'episodio.